Piero Sartogo a sinistra e Massimo Locci a destra
Piero Sartogo, grande architetto, teorico, designer, conoscitore/sostenitore dell’Arte contemporanea, ci ha lasciati.
A noi piace ricordarlo anche come amico e assiduo collaboratore dell’IN/Arch, fin dai primi anni della fondazione dell’Istituto. Tra le occasioni di dialogo, oltre alle infinite partecipazioni a tavole rotonde e a convegni, mi piace ricordare la sua personale a Palazzo Taverna “Immagine, reale e virtuale” del 1977, la mostra “Brunelleschi anticlassico” al Chiostro della Pace durante la Settimana dell’Architettura del 1979, i contributi metodologici al Congresso del 2000 e al libro IN/Arch 50, in cui ha sempre sostenuto la nostra funzione primaria di “laboratorio delle idee”. In occasione di RomaArchitettura4 l’IN/Arch gli ha attribuito il Premio alla Carriera.
Bruno Zevi l’ha coinvolto per un quinquennio nella didattica dell’Istituto di Critica Operativa e nelle sue molteplici iniziative culturali: il Concorso a inviti per il Lingotto di Torino del 1983, la mostra-convegno “Anabasi” a Termoli 1980, il Convegno di Modena del 1997.
Molte di queste occasioni di confronto mi hanno visto coinvolto e ho potuto misurare la ricchezza di contenuti della sua ricerca , espressa sempre con essenzialità, passione e vigore comunicativo.
Laureatosi a Roma nel 1961, Piero Sartogo si è trasferito negli Stati Uniti, dove ha collaborato con il TAC, la struttura progettuale diretta da Walter Gropius. Tornato in Italia, ha aperto il suo studio, all’inizio collaborando con Carlo Fegiz, Domenico Gimigliano e con la sorella Francesca. Tra le opere realizzate in quegli anni la Sede dell’Ordine dei Medici a Roma, il quartiere di edilizia pubblica a Sesto San Giovanni e la mostra itinerante “Roma Interrotta”, che ha visto la partecipazione di molti architetti di fama internazionale.
Dal 1980, a partire dalla importante mostra itinerante “Italian RE Evolution”, ha formato con Natalie Grenon un sodalizio dinamico e interdisciplinare che si è occupato di architettura, paesaggistica e design, spaziando dai programmi di rigenerazione urbana agli allestimenti museografici.
Tra le opere realizzate: il Centro Nissan e la Chiesa del Santo Volto di Gesù a Roma, l’Ambasciata d’Italia a Washington, i complessi per la vinificazione per Coltibuono e per Frescobaldi in Toscana (premiate alla mostra “Cattedrali del vino”, evento collaterale della Biennale di Architettura di Venezia), una serie di mostre d’arte, di moda e a carattere scientifico (tra cui “Eureka l’Europa” e “L’immaginario scientifico” a Parigi), la cura museale per le Esposizioni Universali a Tsukuba e Siviglia, entrambe per il Ministero degli Esteri.
Nel suo itinerario, con una personale traduzione di temi e di linguaggi della neo-avanguardia e delle ricerche sperimentali degli anni ’60 e ’70, Piero Sartogo attualizza il tema della scomposizione e ricomposizione morfologica attraverso un gioco di stratificazioni; un palinsesto di elementi eterogenei e specializzati all’interno di trame connettive e telai strutturali, traslazione e rotazione di parti, piegatura di piani e superfici.
Un approccio sistemico che lega organicamente le tematiche del progetto con quelle del processo costruttivo, della sperimentazione tecnologica e dei materiali.
I concetti di assenza e virtualità, che Sartogo padroneggia dagli anni Sessanta, grazie anche al rapporto stretto con il mondo dell’arte, sono intesi come segni strutturanti, capaci di decostruire la massa edilizia, sezionarla e scomporla in più elementi.
Non a caso “Vitalità del negativo”, una mostra che ha segnato una generazione, è stata allestita nel 1970 al Palazzo delle Esposizioni proprio da Piero Sartogo e Achille Bonito Oliva. Quest’ultimo a tal proposito evidenziava: “Sartogo ha sempre lavorato tra l’interno e l’esterno, tra il pieno e il vuoto, creando una sorta di spazio dell’eco, uno spazio di rimbalzo dello sguardo”, valutazione che rispecchia fedelmente gli intenti del suo lavoro, come egli stesso ha codificato: “progettare l’architettura non solo come spazio, ma anche come sistema di eventi visivi. Progettare significa trasformare, come nella pittura, la sequenza spazio-temporale delle entità fisiche”.
Massimo Locci