I bonus edilizi e le case green
Maggio dell’Architettura – Annosedici
Ricordo di Pietro Barucci
Pietro Barucci (1922-2023) a cento anni ci ha lasciato.
L’IN/Arch, nell’esprimere le condoglianze alla famiglia, ne ricorda l’alta qualità di costruttore di opere di architettura, da intendersi nel senso più ampio del termine: un intellettuale che progetta, insegna a progettare e, per un lungo periodo, realizza direttamente. Non poteva essere diversamente essendo nato da una famiglia di artisti, progettisti e costruttori.
Per questo motivo le sue vicende professionali si sono spesso intrecciate con quelle dell’Istituto Nazionale di Architettura e con le sue finalità. Nel 1971, infatti, fa parte della commissione di valutazione per l’Attuazione del PRG del 1962/67 di cui l’Istituto fu incaricato per conto del Comune di Roma. Riceve due Premi IN/ARCH nel 1990 e nel 1992 per gli interventi della ricostruzione post-sisma a Napoli e per il quartiere Quartaccio a Roma.
Riceve, infine, il Premio alla carriera IN/ARCHITETTURA 2020 – Lazio e, a novembre del 2022, l’Istituto gli ha dedicato un tributo per celebrare i suoi 100 anni e 70 anni di attività.
Agli inizi degli anni quaranta Pietro Barucci si iscrive alla Facoltà di Architettura e, contemporaneamente, per due anni partecipa da ufficiale di Marina alla Seconda Guerra Mondiale. Tornato a Roma, segue le iniziative dell’APAO a Palazzo del Drago e, nel 1946, si laurea con Arnaldo Foschini (Assistente Luigi Vagnetti), che lo chiama a collaborare alla cattedra come suo assistente.
Il suo rapporto con il mondo universitario è, però, conflittuale: dopo il proficuo rapporto con Foschini si allontana con Muratori, per divergenze sulla didattica. Ritorna a Valle Giulia nel 1962, chiamato da Adalberto Libera che, però, muore l’anno successivo. Continua con Ludovico Quaroni e, dopo una breve collaborazione, lascia definitivamente l’insegnamento e si dedica totalmente alla professione.
Si è molto discusso in questi anni su come sarebbe potuta essere la facoltà di Architettura se, agli inizi degli anni ’60, si fossero sostenuti i progettisti veri, come lo era sicuramente Pietro Barucci, e meno i teorici della progettazione. In verità egli diventa ‘docente’ fuori dalla facoltà, come allora avveniva nei migliori studi romani.
Nel suo studio, infatti, collaborano e si formano intere generazioni di architetti: talvolta coetanei come Beata Di Gaddo, Ugo Sacco e Vittorio De Feo, o più giovani come Paolo Silvagni, Patrizia Pizzinato, Mario Avagnina, Simone Ombuen.
Pietro Barucci ha una concezione moderna del ruolo dell’architetto e, in tal senso, ha messo in piedi uno studio dinamico con ramificazioni pluridisciplinari, capace di sviluppare un’intensa attività progettuale in particolare nel campo dell’edilizia residenziale, dell’edilizia scolastica e nel terziario direzionale. In Italia e all’estero.
Partecipa, infatti, a vari concorsi conseguendo importanti riconoscimenti e, negli anni sessanta e settanta, apre uno studio in Africa che si occupa di piani urbanistici in Tunisia e in Etiopia.
Pragmatico e con una impronta fortemente funzionalista, aggiornato sulle tecnologie costruttive e sui linguaggi, ma lontano dalle mode, in circa 70 anni di attività Pietro Barucci ha sempre creduto nello scambio proficuo tra committenza, impresa realizzatrice e progettista.
Tra le sue opere romane: una elegante palazzina in via Monti Parioli (1948), un edificio in linea nel quartiere INA-Casa al Tuscolano (1950), l’Istituto industriale a Pietralata (1961-70); la sede ENPAM in via Torino (1962-65); il centro direzionale di piazzale Caravaggio (1963-69); parte del complesso ISES-IACP di Spinaceto (1965-77); i quartieri residenziali Tiburtino Sud, IACP Laurentino 38(1971-84), Torrevecchia (1978-84 con Studio Passarelli e Marcello Vittorini), Quartaccio (1978-84), i Comparti M4, R5, R11 a Tor Bella Monaca (1980-81), il Piano di Zona Mistica 2 (con Carlo Melograni, Sergio Lenci e Nico Di Cagno).
Tutti progetti a grande scala che rappresentano una precisa idea di città contemporanea, sviluppata come tessere di un’ideale città di fondazione.
Tra i progetti in altre città si segnalano: vari quartieri INA-Casa e altri interventi a Livorno, un edificio INCIS a Torino, il Piano Straordinario per l’Edilizia Residenziale di Napoli (1982-92 con Vittorio De Feo) e tra questi gli interventi di riqualificazione degli ambiti di Taverna del Ferro, di Pazzigno e segnatamente di Barra, dove sperimenta una interessante integrazione tra recupero dei centri storici e integrazioni moderne.
In una intervista sul Corriere della sera Giuseppe Pullara gli chiede quali siano i suoi obiettivi a 98 anni e in un periodo di pandemia. «Sentirmi responsabile di me stesso lanciando lo sguardo in avanti: in fondo, continuo nella dimensione del progettare. Bisogna lasciare da parte i pensieri negativi».
Questa mi pare la conclusione più giusta e il viatico migliore per il nostro futuro di architetti e di cittadini.
Massimo Locci
Direttore del comitato scientifico IN/Arch