Kafka, il coronavirus e l’architettura nel Paese del “combinato disposto”
L’epifania negata dei beni culturali e il senso di comunità
I Premi In/Architettura al tempo del coronavirus
Fare i conti con il coronavirus è necessario e gli italiani hanno accolto con forte spirito di disciplina comunitaria le disposizioni emanate dal governo a ondate successive, con intervalli sempre più rapidi, modificando radicalmente il proprio quotidiano. Su questa base sarebbe stato legittimo mettere mano alle rare (proporzionalmente) trasgressioni davvero pericolose – dettate più da incomprensioni che da arroganza – con un’azione comunicativa ancor più persuasiva delle Autorità competenti. Al contrario, raccogliendo pur rare espressioni di panico, si è fatto ricorso all’esercito come controllore della quotidianità nazionale, penalizzando moralmente i moltissimi virtuosi e “dandola vinta” ai pochi (gravemente) trasgressori.
Una decisione favorita dalla crescente ammirazione verso i paesi totalitari dove “l’epidemia è stata sconfitta (?) attraverso l’ ‘esecuzione sul posto’ di qualsivoglia forma di trasgressore”. Una decisione che sembra prendere atto di una ‘bassa stagione’ della nostra democrazia che, fortunatamente, è (ancora?) lontana.
Questa attitudine centralistica si oppone radicalmente a ciò che da oltre sessant’anni l’Inarch ricerca e persegue: valorizzare e promuovere la grande progettualità strategica, certamente, ma anche e soprattutto quella che scaturisce ‘ai margini’ della grande architettura, a opera di professionisti ‘normali’ che, al pari dei medici e degli infermieri che oggi si trovano in prima linea, tengono alta la bandiera dell’architettura a qualunque scala, “dal cucchiaio alla città”, cercando di difenderla dall’imbrigliamento della burocrazia e della sciatteria dilaganti. Per meglio esercitare questa funzione, fin dall’inizio l’Istituto si è articolato in Sezioni Regionali dotate di ampia autonomia.
I Premi Inarch, da molti decenni, rappresentano un appuntamento biennale nel quale i risultati della nostra attenzione ‘maniacale’ verso tutto ciò che si muove in architettura nell’Italia delle Cento Città, nei paesi e finanche nei borghi emerge con forza attraverso la capillarità dei Premi Regionali. Su questa base solidamente ‘democratica’ vengono poi selezionati i Premi Nazionali.
Coerentemente con quanto viene prescritto dalle Autorità e osservato dalla stragrande maggioranza dei cittadini, abbiamo chiuso le nostre sedi, annullato gli incontri pubblici e trasferito in rete le attività in corso, cercando di mantenere vivo il tessuto di confronto e condivisione che promuoviamo quotidianamente, con un ‘funzionariato’ molto esiguo ma supportato da un volontariato ampio e variegato. Lo facciamo con relativa facilità, appoggiandoci all’infrastruttura ‘reticolare’ sviluppata di anno in anno proprio per potenziare la capillarità della nostra azione nei territori.
È proprio questa capacità di comunicare ‘in più lingue’ che ci induce oggi, pur in una situazione di paralisi del Paese, a lanciare la raccolta on line delle candidature per l’edizione 2020 dei Premi In/Architettura, convinti che il dovere di osservare scrupolosamente tutte le misure di sicurezza via via emanate non debba condurre a un’ ‘ossessione dell’emergenza’, nella quale la vita civile e culturale del Paese viene travolta da una dimensione puramente e pericolosamente securitaria. Per contrastare il pericolo simmetrico alla centralizzazione eccessiva – il vento della frammentazione anti-unitaria, che soffia anch’esso forte – quest’anno abbiamo arricchito la preziosa autonomia delle Sezioni Regionali, nel configurare i loro premi, con un progetto unitario capace di meglio favorire il coordinamento e il confronto fra ‘diversità dialoganti’.
Dunque, pur forzatamente chiusi nelle nostre case, continuiamo immaterialmente a ‘battere i territori’ nei quali affondano le nostre radici, per esaltarne la vitalità policentrica e molteplice, ‘in barba’ a quanti, per rispondere alla giusta esigenza di un’azione efficace a livello nazionale, invocano uno scenario nel quale “decide uno solo”, avvalendosi di un esercito che risponde soltanto al ‘piano superiore’ dell’apparato. Al contrario (si parva licet…), in questa situazione così difficile l’Inarch pone il proprio ‘apparato militare nazionale’ – a partire dal Presidente, uso a visitare sistematicamente le regioni in cui siamo presenti – agli ordini e al servizio delle nostre ‘polizie regionali’ presenti sui territori, convinti come siamo che l’efficienza del sistema non debba mai soffocare il pluralismo e la partecipazione sociale e culturale.
Luca Zevi, Vicepresidente Inarch