Le grandi agglomerazioni urbane sono da alcuni considerate le uniche in grado di attrarre investimenti, di promuovere l’innovazione, di produrre PIL.
In molti studi si sostiene che per reggere la competizione su scala mondiale le città devono necessariamente diventare più grandi (big is better è lo slogan adottato dalla città di Londra per il suo “London Infrastructure Plan 2050”).
Allo stesso tempo il sovraffollamento sempre più intenso delle megalopoli ci pone di fronte a problemi complessi relativi all’inquinamento ambientale, all’uso delle risorse, ai flussi migratori alla produzione di rifiuti, ai sistemi di trasporto ecc. Pone, in sintesi, un quesito sulla capacità di tali modelli insediativi di garantire il benessere dei cittadini.
Il nostro Paese ha una struttura territoriale con agglomerati urbani diffusi (8100 comuni di cui 88% di piccolissime dimensioni) e con trend di crescita particolari.
In sintesi l’Italia è ancora il paese delle 100 città.
Anche sul piano industriale il nostro Paese è caratterizzato soprattutto da imprese medio-piccole aggregate in distretti produttivi che solo raramente si trovano all’interno delle aree metropolitane.
Si tratta di un modello di organizzazione del territorio, quindi, caratterizzato non da grandi concentrazioni urbane, ma da un forte policentrismo.
Un policentrismo in grado di coinvolgere anche i territori rurali nei processi di crescita economica. Un policentrismo capace di coniugare in modo nuovo – nell’epoca della connettività – i concetti di smart city, di smart communities, di resilienza, di innovazione, di sostenibilità ambientale. Un policentrismo potenzialmente in grado di garantire il benessere dei suoi abitanti e di proporre un modello diverso di accoglienza di quanti premono alle nostre porte in fuga da guerre e miserie insopportabili.
Con il contributo della Direzione generale Biblioteche e Istituti culturali del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali